Cons. di Stato, Sez. VI, 23.04.2018, n. 2443.
“…Sulla scia della giurisprudenza amministrativa, anche di questo Consiglio (Sez. V, sent. n. 342 del 2001; Sez. VI, n. 7742 del 2009, nel senso dell’applicabilità del limite temporale triennale di cui al comma 136 anche ai rapporti di impiego pubblico, in tema, rispettivamente, di annullamento in autotutela di ammissione a procedura concorsuale per progressione verticale, e approvazione della relativa graduatoria, per riscontrata carenza dei requisiti prescritti, e di decadenza da graduatoria per personale ATA per carenza di un requisito indispensabile), questo Collegio ritiene corretto considerare, con la parte appellante, che la disposizione di cui al citato comma 136 non opera alcuna distinzione tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato, né tra rapporti convenzionali di appalto e rapporti di lavoro pubblico. Più in generale, con il citato comma 136 è stato introdotto un limite temporale specifico e invalicabile al potere di annullamento in autotutela spettante alla P. A. , attribuendo a quest’ultima la possibilità di agire in autotutela, in presenza di determinate situazioni, descritte nella disposizione, entro il termine di tre anni dalla acquisizione di efficacia del provvedimento amministrativo illegittimo del cui annullamento si tratta. La norma “de qua”, nel porre la “barriera” temporale triennale, individua un criterio di equilibrio tra interesse del privato e interesse dell’erario, stabilendo che l’annullamento d’ufficio possa intervenire per questa specifica finalità, purché entro il triennio dall’adozione dell’atto. Quanto poi alla “ratio” della disposizione – conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le P. A. -, la finalità stessa, considerata nella sua ampiezza, ben si presta a ricomprendere anche ipotesi nelle quali vengano in questione inquadramenti illegittimi, della conformità a legge dell’annullamento in autotutela dei quali si controverta, che abbiano comportato esborsi di denaro pubblico, anche in relazione alla prospettiva di non corrispondere, in futuro, somme ulteriori derivanti dagli inquadramenti illegittimi anzidetti: fermo restando tuttavia il divieto “ex lege” di esercitare il potere di annullamento in autotutela oltre il limite temporale triennale dalla acquisizione di efficacia del provvedimento amministrativo ampliativo illegittimo. Non potrebbe, cioè, utilmente sostenersi che il citato comma 136 si applichi soltanto nei casi in cui l’atto di annullamento ritrovi il suo fondamento nella finalità di “conseguire risparmi o minori oneri finanziari” per le P. A. , mentre, come sostengono il giudice di primo grado e la parte pubblica appellata, nella specie il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe motivato non da finalità di risparmio di risorse pubbliche, ma dallo scopo di evitare il protrarsi di un danno erariale, connesso alla indebita corresponsione dei maggiori emolumenti correlati alle progressioni in carriera. Questo Collegio ritiene che il conseguimento di “risparmi o minori oneri finanziari” per le P. A. si verifichi anche quando l’atto amministrativo illegittimo che si pretende di annullare in via di autotutela comporti un illegittimo esborso di denaro pubblico (o una mancata entrata). A quest’ultimo proposito, è da ritenere che, attraverso il comma 136 – disposizione speciale e, comunque, “specificativa”, come tra breve si dirà, del concetto generale di “termine ragionevole”, per una cerchia ben individuabile di casi – la legge del 2004 abbia inteso individuare un punto di equilibrio preciso tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico – finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra P. A. e privati, con riferimento a qualsiasi rapporto contrattuale, compresi quindi quelli attinenti ai rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, regolati da contratti individuali di lavoro, venendo così a essere precluso l’esercizio di qualsivoglia autotutela amministrativa finalizzata ad evitare un illegittimo esborso – attuale ma anche futuro – di denaro pubblico, ove siano trascorsi più di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento illegittimo da caducare, e finanche se la esecuzione del provvedimento medesimo sia perdurante e, quindi, se l’Amministrazione si trovi, così, costretta ad adempiere, per il futuro, a ulteriori obbligazioni pecuniari già assunte. Ciò, in un contesto, anche normativo, nel quale il “fattore tempo” assume un rilievo fondamentale e le fattispecie di annullamento in via di autotutela vanno lette in maniera restrittiva. In questa prospettiva, la pre – fissazione del limite temporale dei tre anni quale presupposto (sia pur riferito a un campo di applicazione più ristretto rispetto a quello, generale, preso in considerazione dall’art. 21 – nonies della l. n. 241/1990, come si dirà più avanti) per l’esercizio legittimo del potere di autotutela, trascorso il quale (triennio) “non può essere adottato” alcun “annullamento di ufficio”, ha anticipato di alcuni anni la previsione di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015 che, nel modificare l’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, attualmente fissa in un termine “non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”, quindi in un gran numero di ipotesi, il “termine ragionevole” e il limite temporale massimo entro cui poter annullare d’ufficio il provvedimento amministrativo illegittimo, “sussistendone le ragioni di interesse pubblico” “e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”. A quest’ultimo riguardo, non pare inutile segnalare che in più occasioni questa Sezione (v. sentenze n. 3762 del 2016 e 5625 del 2015) ha considerato il parametro temporale di riferimento dei 18 mesi, pur non applicabile “ratione temporis” alle controversie, “rilevante ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti”… Sotto un secondo profilo, nel riprendere argomentazioni e conclusioni di Cons. Stato, Sez. III, n. 5259 del 2015, pare il caso di ribadire che nella specie non viene in considerazione una abrogazione tacita del suddetto art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, ad opera della di poco successiva l. n. 15 del 2005, che ha introdotto nel corpo della l. n. 241 del 1990 la disposizione a carattere generale in tema di annullamento d’ufficio di cui all’art. 21 – nonies con la quale, fino alla entrata in vigore dell’art. 6 della l. n. 124 del 2015, nella materia dell’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo ha trovato applicazione, in linea di principio, il criterio temporale “elastico” del “termine ragionevole”. E invero “…non convince … la tesi dell’abrogazione tacita della norma recata dalla L. 311/2004 per effetto dell’entrata in vigore – a distanza di poco tempo – della disciplina generale introdotta con la legge n. 15 del 2005, che ha modificato la legge n. 241 del 1990, aggiungendo l’articolo 21-nonies, che disciplina, per la prima volta in termini generali, il potere di autotutela della p.a. Depongono in senso contrario alla tesi dell’abrogazione tacita: la diversa natura delle due disposizioni – l’una speciale e l’altra generale – il che rende possibile la coesistenza tra le due norme, delle quali quella speciale individua in modo preciso il concetto di “tempo ragionevole” contenuto in quella generale; la mancata espressa abrogazione della suddetta disposizione ad opera del legislatore nel momento in cui ha per la prima volta – con la legge n. 15/2005 – disciplinato l’annullamento in autotutela;l’espressa abrogazione della disposizione recata dalla L. 311/2014 per effetto dell’art. 6 della L. 124/2015 che ha modificato l’art. 21 nonies della L. 241/90, prevedendo la possibilità dell’esercizio del potere di annullamento di ufficio per ragioni di pubblico interesse “entro un termine ragionevole e comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”, e che ha previsto al comma 2 dello stesso articolo l’abrogazione espressa della suddetta disposizione normativa. Da dette circostanze, ed in particolare dall’ultima citata, può agevolmente desumersi la vigenza della suddetta disposizione al momento dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado. Quanto alla sua applicabilità al caso di specie, condivide la Sezione quanto affermato dal primo giudice – richiamando la giurisprudenza della Sezione – in quanto nel conflitto tra le due norme deve essere dato rilievo al prevalente principio di specialità. La norma anteriore, infatti, denota un ambito applicativo più ristretto rispetto a quella della legge n. 15 del 2005: la prima riguarda, non già tutti i provvedimenti di annullamento d’ufficio, ma solo quelli incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati; la seconda, invece, si applica, senza distinzione alcuna, a tutti i provvedimenti di annullamento in autotutela. La norma recata dalla L. 311/04… regola una speciale forma di annullamento, distinta per la finalità di risparmio di spesa perseguita ponendo un preciso criterio di equilibrio tra l’interesse del privato e quello dell’erario, stabilendo che l’annullamento può sempre intervenire per questa specifica finalità, purché ricompreso nel triennio dall’adozione dell’atto a tutela dell’affidamento del privato e dell’equilibrio economico dell’impresa…” (così, testualmente, Cons. Stato, III, n. 5259 del 2015; conf. , sempre Sez. III, sent. n. 6065 del 2014, TAR Toscana, I, n. 263 del 2013 e la già citata TAR Campania – Napoli, V, n. 21106 del 2008, che qualifica il termine massimo triennale stabilito dal comma 136 per l’annullamento d’ufficio di provvedimenti incidenti sulle ipotesi ivi considerate “come tipica ipotesi speciale applicativa del concetto generale di termine ragionevole introdotto dalla legge generale sul procedimento, nel senso di costituire un caso in cui … è la stessa legge speciale che determina, direttamente e puntualmente, per una determinata tipologia di atti, qual è il termine ragionevole per l’esercizio del potere di auto annullamento”, con conseguente illegittimità del provvedimento di autoannullamento intervenuto, ben oltre il triennio, a incidere “su rapporti contrattuali o convenzionali con privati”, in un contesto di “bilanciata applicazione di principi di pari dignità e rilevanza giuridica”). Con riguardo al caso oggi in esame, la disposizione di cui al citato comma 136 è speciale e, comunque, “specificativa”, per un insieme di casi meno ampio rispetto al campo di applicazione generale al quale si riferisce il limite temporale, elastico, del “termine ragionevole”, di cui all’art. 21 – nonies, e si pone comunque in consonanza con il “criterio generale” anzidetto del “termine ragionevole”. L’accertata violazione del limite temporale triennale di cui al comma 136, disposizione come detto applicabile al caso odierno, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, assorbe e supera ogni diversa questione prospettabile…”.